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Itinerario rurale La Valle dell'Eleuterio

Disponibile

"Alcuni campi della Bagaria debbono sopra di ogni altro la loro fertilità al fiume che, sboccando sopra di loro con le acque limo e argilla, gli ingrassa e feconda."

(Domenico Scinà)
 

Dalla Rocca Busambra nascono vari torrenti che convogliano le loro acque nelle più basse pendici della Ficuzza; tra questi il torrente Scanzano che sostenta il lago artificiale dello Scanzano, poi diviene il fiume Eleuterio. L’Eleuterio scorre verso nord-est e, attraversando una grande valle dai terreni miocenici, scavalca la dorsale calcarea di M. Kumeta nella Valle di Marineo. Scorrendo ancora più giù è alimentato dalle acque della sorgente di Risalaimi e prima di arrivare a Misilmeri vi confluiscono le acque di altre sorgenti . A Misilmeri le fontane vi scaricano direttamente; poi, il suo corso, dopo, aver attraversato i territori di Bagheria e Ficarazzi, sfocia nel Mar Tirreno presso Aspra. L’Eleuterio è lungo 31 Km e nel suo tratto finale si pone quale confine naturale tra Ficarazzi e Bagheria. Ha un corso a carattere torrentizio : d’inverno, la sua portata è costante e cospicua, invece d’estate il suo letto è quasi asciutto perché le acque delle sorgenti che lo alimentano vengono utilizzate per fini irrigui e potabili. Per quanto riguarda l’origine del suo nome vi sono varie tesi; secondo alcuni storici furono i fenici a chiamarlo “ Eleutheros” in memoria di un fiume omonimo che scorreva nella loro terra d’origine. Altri sostengono che sono stati dei coloni greci a battezzarlo così in onore del loro dio “ Giove Liberatore”. Eleutheros in greco significa “libero, immune, ameno”. Secondo fonti più antiche sarebbe il fiume Boti (o Joto) citato da Tolomeo nella Geografia. Inoltre, a seconda del luogo attraversato è conosciuto sotto altri nomi. Per Idrisi, nel suo Libro di Ruggero, era Wadi al amir (“fiume dell’emiro”, vicino Misilmeri) Il Marchese di Villabianca nella sua Fontanagrafia Orotea ne fa un elenco: fiume della Bagaria o di Ficarazzi, Formosa, Mirti (dall’antica osteria Mirti),fiume di Misilmeri, Liberali, Risalaimi. Il fiume Eleuterio (un tempo forse navigabile) è stato per millenni un importate via di collegamento tra il mar Tirreno e l'entroterra e quindi ha svolto una grande funzione nella storia siciliana.

 

Pizzo Cannita o Cozzo Cannita è una piccola altura di 208 m, posto sulla sponda sinistra del fiume Eleuterio in territorio di Misilmeri. E' un importante sito archeologico, tutta la zona è ricchissima di frammenti ceramici che coprono un arco cronologico che va dalla fine del VI sec. a.C. al III sec. a.C.  che documenterebbero la vita del centro da età arcaica ad età ellenistica. La Cannita comincia a dare solidi indizi della presenza semitica alla fine del XVII sec. quando alcuni cavatori di pietra scoprono nel 1695 e nel 1725 due sarcofagi antropoidi, conservati nel Museo Archeologico Regionale "A. Salinas". Questi monumenti funerari sono riferibili all’arte fenicio punica del V sec. a.C, anche se di origine egiziana con influenze greche. Sono stati trovati anche delle monete con la leggenda KRONIA , una statuetta raffigurante Atena e un bellissimo gallo fittile.

 SARCOFAGI DELLA CANNITA

Nel 1695 alcuni cavatori di pietra scoprirono casualmente una tomba a camera che conteneva al suo interno uno splendido sarcofago antropoide di tipo fenicio. Il rinvenimento avvenne in località Portella di mare, una pianura che si estende nell'immediato entroterra della città fenicia di Solunto fondata sulla costa nord-occidentale della Sicilia e nelle adiacenze del picolo insediamento antico sorto sul pizzo Cannita., nella bassa valle del fiume Eleuterio. del sarcofago si recuperò solo il coperchio (la cassa è stat ricostruita) su cui era scolpita a rilievo una figura femminile con braccia distese, fascia intorno alla testa e semplice lungo abito liscio con brevi maniche a pieghe. Pur trattandosi di una tipologia tipicamente orientale, la raffigurazione del volto rivela una profonda influenza dell'arte greca classica, permettendone una datazione entro la prima metà del V sec.a.c.                             Di qualche decennio più antico sembra essere, invece, il sarcofago recuperato nel 1725 in un'altra seportura a camera scoperta nella stessa località. All'interno della tomba si raccolsero pure amuleti d'avorio, frammenti metallici e un vaso a vernice nera, andati purtroppo dispersi. La cassa era decorata con scene figurate dipinte in  blu e rosso, riprodotte in un'incisione dell'abate cassinese Michele Del Giudice. Entro i riquadri che marginavano la scena principale, erano raffigurate, su entrambi i lati del sarcofago, alcune figure femminili panneggiate sedute, mentre sui lati brevi erano rappresentati un busto maschile e quattro cavalli rampanti trattenuti da un fanciullo nudo. Sul coperchio è scolpita a rilievo una figura femminile con veste panneggiata, braccio destro disteso lungo il fianco e sinistro piegato sul petto nell'atto di stringere un alabastron (vaso per ungenti) nella mano. Anche il coperchio doveva essere dipinto, come dimostrano le tracce di pittura rossa ritrovate sui capelli all'atto della scoperta. Il sarcofago fu trasportato da Principe di Cattolica, Francesco Bonanno, nella sua residenza di Misilmeri e solo nel 1963 fu acquistato dal Ministero della Pubblica istruzione ed esposto al Museo Nazionale di Palermo insieme all'esemplare rinvenuto nel 1695. Notizie relative alle tombe si hanno dalla relazione manoscritta dell'abate cassinese Michele Del Giudice, conservata alla Biblioteca Comunale di Palermo: si tratta di camere ipogeiche scavate nel banco roccioso, a pianta quadrangolare, tetto piano e ingresso chiuso da un lastrone di pietra, cui si accedeva da Est tramite un corridoio (dromos) a gradini, tipologia ben nota in tutto il mondo fenicio-pinico occidentale. I due sarcofagi antropoidi, tuttavia, sono gli unice esemplari rinvenuti fino ad oggi in Sicilia. 

Monte Porcara o Cozzo Porcara si trova nel territorio di Bagheria a m. 388 di altezza, assieme a Pizzo Cannita è considerato un sito archeologico di notevole importanza, datato tra il VII e il III secolo a.C. Sul monte sono stati trovati i resti di una necropoli fenicio-punica, resti della cinta muraria e sepolture a cassone in lastre di calcarenite e da sarcofagi monolitici dello stesso materiale. Secondo recenti ipotesi i ruderi sul Monte Porcare sarebbero da identificare con la città indigena di Paropos.  Infatti, i fenici prima e i punici successivamente , da provetti mercanti quali erano percorrendo la valle dell’Eleuterio saranno venuti a contatto con diversi popoli indigeni a cui, una volta venuti a patti, avranno venduto le loro merci ma anche diffuso la loro civiltà molto sincretica. Non ultimo bisogna ricordare che, lungo il suo corso, si snoda pure la strada Statale Palermo direzione Agrigento che riprende, non a caso, il tracciato dell’antica via romana che da Agrigento raggiungeva il Mar Tirreno. Dopo i secoli bui a seguito della Caduta dell’Impero Romano, la vallata sarà valorizzata dai Musulmani dopo la Conquista di Palermo. Nel Quattrocento si diffusero anche, in questa vallata ( Stancapiano, Compagnone, Cannita), le massarie, o masserie (con baglio, o con torri di difesa agraria) delle vere e proprie aziende agricole dotate di un fabbricato che fungeva da centro di un podere di media estensione e nel quale si praticavano colture intensive (vigne, cereali, canna da zucchero). In queste masserie vi era tutta l’attrezzatura per la coltivazione e la trasformazione dei prodotti ed intorno alla corte del baglio, in cui si accedeva attraverso un portale d’ingresso sottolineato da elementi decorativi,vi erano stalle,pozzi, forno, trappeti, cappella, magazzini.


 

La Coltivazione della Cannamela

Fu la coltivazione della canna da zucchero, per secoli, a rappresentare una significativa fonte di guadagno, la vera ricchezza del corso inferiore dell’Eleuterio, nonché volano dell’economia isolana. Questa coltura fu introdotta con successo dagli Arabi; sotto il regno dei Normanni si ebbe una fase di ulteriore sviluppo a cui seguì la crisi del XIII sec. Nel Quattrocento segue, invece, un periodo di impetuosa crescita e così (anche se con alterne vicende) si arriva alla fine del Seicento quando l’eccessiva concorrenza dei mercati stranieri, gli alti costi di produzione e la siccità fanno sì che la coltivazione della cannamela non sia più considerato un buon investimento economico.  La scelta di localizzare in questa zona fertile, ricca di acqua ma anche di legname (boschi della Bagaria) questa redditizia attività si deve al’intraprendenza di tre eminenti personalità lungimiranti, ossia al Pretore di Palermo Pietro Speciale in società con Lodovico Del Campo (o Campo) e Ubertino Imperatore. Lo Speciale con i soci impianta in modo intensivo la canna da zucchero con “annessi trappeti  (suprano, di mezzo e suttano) per l’estrazione dello zucchero”. Nel 1443 era stata commissionata la costruzione di un ponte acquedotto per aumentare e migliorare la produzione. Ancor oggi lo si può ammirare a monte della ferrovia. Il Trasselli lo definisce “l’unico acquedotto siciliano del Medioevo e dell’età moderna ancora esistente ; e il primo acquedotto a fini industriali; è tra i più grandiosi acquedotti dell’Italia meridionale”. Ponte sostenuto da altissimi archi a sesto acuto, secondo il Ronzano (1470) lo fece realizzare Lodovico Campo (lo attesta un bassorilievo marmoreo sul ponte con lo stemma della famiglia Campo) dandone l’incarico all’ingegnere catalano Antonius Zorura. Sembra che oltre all’irrigazione dei campi servisse pure a mettere in moto le macine del trappeto per la spremitura delle canne. Questa industria dello zucchero dava lavoro a centinaia di persone tutto l’anno sia nei campi che negli infernali forni dove si cuoceva il succo spremuto per ricavare quello zucchero che era apprezzato in tutta l’Europa. Nel 1468 lo Speciale appalta ad un certo Perosino De Jordano la costruzione di una grande torre , manufatto di difesa del trappeto “suprano” e dell’annesso baglio.  Dopo lo Speciale, il Trappeto passò al genovese F: Doria che lo lasciò per testamento in eredità ai Padri Teatini di Palermo. Questi dopo il fallimento della coltivazione della cannamela vendettero tutto al nobile Luigi Giardina che trasformo la Torre nell’attuale Palazzo detto “ Castello”di Ficarazzi prolungando l’ala est e nobilitando la costruzione con una superba monumentale scalinata d’accesso. Nel XVI sec. viene costruita la Torre Compagnone eretta a difesa della foce del fiume ma anche per tutelare gli interessi agricoli connessi alla coltivazione della cannamela. Oggi la torre è in parte distrutta ma la sua struttura originaria è ancora leggibile. E’ di piccole dimensioni con una pianta quadrata;presenta una base leggermente più ampia marcata da una modanatura e pregevoli cantonali in pietra d’Aspra. Anche durante la Seconda Guerra Mondiale la foce del fiume venne considerato un punto strategico da difendere visto che furono realizzati dei bunker di cui ancor vi è traccia.

 

L’acqua dell’Eleuterio : fonte di energia idraulica per mulini e preziosa risorsa per l’agricoltura

Lungo la vallata dell’Eleuterio l’acqua, da sempre, è stata utilizzata non solo come importante risorsa economica per fini irrigui ma anche quale forza idraulica per far muovere le ruote(pale) dei tanti mulini costruiti sulle sue sponde. Questi numerosi mulini (solo nella zona di Misilmeri se ne contano 7) sono oggi purtroppo abbandonati e in stato di degrado.  Presentano un apparato molitorio particolare caratterizzato dalla posizione orizzontale dell’unica macina rotante su un basamento fisso.  Un tempo il letto del fiume Eleuterio era molto più ampio con una vegetazione veramente lussureggiante poi, nel secolo scorso, il suo corso è stato imbrigliato per realizzare opere di pubblica utilità (diga Lago Scanzano) e per alimentare acquedotti e canali per fini irrigui e potabili.ti anziani. Oggi la valle è molto antropizzata e coltivata; per lo più sono presenti molti agrumeti ( nel tratto inferiore compreso nella Conca d’Oro vi sono tanti limoneti), ma anche molti alberi da frutto (loti, pesche, nespole) così come vigneti ed uliveti e colture in serre. Lungo le sponde crescono ancora spontanee le canne comuni ma lontani sono ormai i tempi in cui i nobili vi cacciavano in quanto, per volere del sovrano Borbone , a partire dalla seconda metà dell’XVIII sec. fino alla metà del XIX sec. fu istituita la Reale Riserva di Ficarazzi che comprendeva pure dei territori della “Bagaria” fuori dagli abitati.                           

La vallata dell'Eleuterio è un sito di un'inestimabile valore naturalistico, paesaggistico e culturale. All'interno della vallata ricca di vegetazione è molto fiorente l'agrumicoltura e la frutticoltura, lungo le sponde del fiume, con i terrazzamenti creati dall'uomo come una lunga gradinata.    

Nella vallata del fiume Eleuterio si coltivano diverse produzioni pregiate come il mandarino "Tardivo di Ciaculli" detto anche "mazzuddù" perchè matura tra la fine di gennaio e la prima decade di aprile.

 

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